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I SENTIERI DI WALTER BENJAMIN IN UN FILM DI FABRIZIO FERRARO
27/02/2017, Lunedì
Si gira a Port-Vendres: Walter Benjamin e Lisa Fittko sugli scogli e sul molo. È un momento al contempo algido ed emotivo, che vede la progettazione della fuga attraverso i Pirenei. Mi pare una situazione del tutto nuova nel cinema di Fabrizio Ferraro: un frammento profusamente dialogato, articolato in una drammaturgia tutto sommato abbastanza conchiusa, definita. (Ferraro è solito girare un solo ciak per ogni inquadratura: ama le aperture, le incertezze, quelle che per il cinema istituzionale non sono che imperfezioni, fragilità da scartare. In questo caso, però, inseguendo un possibile equilibrio nell’orchestrazione di immagini e parole, arriva a girare dieci volte la stessa sequenza. Un fatto per lui inusuale. «Non dobbiamo cedere alle lusinghe della tecnica», lo apostrofa uno dei produttori, Marcello Fagiani.) Ne scaturisce una torsione estetica estremamente interessante, dettata anche dalla presenza fisica, palpabilissima, di una grande attrice, il cui francese, tutt’altro che irresoluto, deflagra in una musicalità ardente, inebriante, seducente (Rohmer? Rivette? Pialat?). Nel contrasto – che è corporeo, certo, ma anche di ordine vocale – fra Catarina Wallenstein ed Euplemio Macrì, si palesa un’ulteriore «spinta verso il margine», una rottura, una condizione sospesa, permanente, di attrito. È bellissimo vederli insieme, muoversi e interagire in uno spazio meramente mentale, che li unisce – non a caso, come spesso capita, «ai margini» dell’inquadratura – per poi separarli definitivamente. (L’arte, proprio in virtù di quella spazialità altra che i suoi circuiti sanno e devono alimentare, unisce e separa. Anche con spietata radicalità.)
Valerio Carando